Editoriale
La crisi del sistema dell'arte nell'epoca del capitalismo finanziario degli algoritmi
- Luglio 10, 2025
di Giuseppe Siano
Teorico dell’arte
L’analisi del sistema contemporaneo dell’arte rivela una contraddizione insanabile: da un lato la retorica dell’innovazione, dall’altro la persistenza di modelli mercantili che risalgono all’Ottocento. Ma c’è dell’altro, come dimostrano alcuni casi emblematici quali ad esempio le opere di Cattelan. Ci ritroviamo di fronte a un paradosso: come affrontare oggi l’arte che ha e che ha avuto potenzialità rivoluzionarie, e come queste opposizioni oggi sono state asservite alla logica del profitto.
Anatomia di un tradimento: il caso Cattelan
Prendiamo ad esempio il monumento L.O.V.E. in piazza Affari:
– L’intenzione originaria (Libertà, Odio, Vendetta, Eternità)
– La riconfigurazione contestuale (‘interazione che l’opera ha con lo spazio finanziario davanti al quale è stata allocata, sembra ora indirizzare il gesto e l’informazione verso il senso “prendete questo mio dito in culo”. valido per tutte le altre costruzioni che si affacciano sulla piazza)
– Lo slittamento semantico (del “gesto artistico” di L.O.V.E. — Libertà, Odio, Vendetta e Eternità — prodotto dall’opera in interazione con l’ambiente ora sembra che si sia trasformato in un messaggio di derisione o d’insulto da parte della “nuova” classe economico-finanziaria dominante rivolto a tutta l’altra parte produttiva di questo Paese. Infatti ad alcuni l’atto del dito della mano sembra significare un “benevolo dileggiare”, ad Didascalia: L.O.V.E. opera di Maurizio Cattelan (2010) Piazza degli Affari Milano, di fronte a Palazzo Mezzanotte altri appare proprio come un insulto di matrice sessuale indirizzato verso tutto il resto del sistema produttivo del nostro Paese. Il significato si evince mettendo in relazione il Palazzo della borsa con gli altri palazzi insistenti sulla stessa piazza della Borsa a Milano, e verso cui è indirizzato quel messaggio-gesto di L.O.V.E. di Cattelan).
Come ho scritto nel mio saggio su McLuhan, questo fenomeno era perfettamente prevedibile: ogni medium (in questo caso lo spazio urbano) riconfigura e adatta il messaggio alle relazioni logiche degli altri elementi significanti presenti nell’ambiente.
La teoria della giustificazione applicata all’arte
Il sistema dell’arte contemporanea funziona come un perfetto esempio di quello che John T. Jost chiama “sistema di giustificazione”: le fiere internazionali come dispositivi di legittimazione; la creazione di valore attraverso la ripetizione rituale e la riduzione della critica a mera narrazione di supporto.
“Il mito dell'originalità nel capitalismo “finanziario” fagocita anche i messaggi culturali”
Questa analisi ha l’intento di dimostrare come le avanguardie storiche dell’arte sono utilizzate come messaggi per produrre un valore economico, e utilizzano a questo fine tutti i circuiti istituzionali e manipola la conoscenza per produrre del danaro anche con l’arte.
La novità è spesso un remix di formule già collaudate che hanno come finalità la manipolazione della ricerca per produrre, attribuire e quantizzare sotto il segno del “valore artistico” una somma di danaro. Non importa come vengono utilizzati i messaggi, né come vengono manipolate le funzioni dei messaggi, anche se analizzati come in entanglement di informazioni vettoriali costituiti da materia-energia. Il fine dovrà essere tradotto nell’unico valore che conta: il danaro.
Tra l’altro manca oggi almeno una sapiente analisi per smascherare queste operazioni, che facciano apparire quali relazioni di valore sono utilizzate nella costruzione dei messaggi. Non si analizzano neanche le ripercussioni o le ridefinizioni di un senso concettuale che si produce in un ambiente per l’azione contestuale di tutti gli elementi che coinvolgono un’operazione artistica. Non si approfondisce poi neanche la relazione tra opera e contesto in cui questa produzione umana è collocata, o “oggetto ready made”; e in questo caso quale altro possibile nuovo significato aggiunto potrebbe produrre.
Quando una banana attaccata con lo scotch da un artista riconosciuto dal mercato dell’arte, che ha fissato il valore della sua opera in 120.000 dollari, un teorico dell’arte non riflette più sull’arguzia dell’idea o circa l’azione o l’operazione concettuale, ma principalmente su un valore economico aggiunto dal sistema dell’arte a una produzione umana.
Che l’artista chiami la sua opera concettuale col titolo Comedian (Comico, Cabarettista, Umorista, etc.,) non importa; perché la questione si concentra innanzitutto sul valore economico di quella azione concettuale o produzione artistica.
Eppure i critici-teorici dell’arte contemporanea dovrebbero almeno indagare dapprima i motivi attraverso cui possano emergere quali siano le finalità insite nei messaggi veicolati dall’arte concettuale. Oltre al fatto che bisogna anche fare i conti in che modo il rapporto tra l’ambiente e l’opera generano quelle relazioni altre che possono modificare l’informazione o messaggio predominante. Al presente però l’unico vero valore generato dal mercato artistico e che differenzia una produzione umana da un’altra è solo di natura economico-finanziaria; cioè, tutto si risolve in “quanto costa”.
Se pensiamo al sistema economico dell’arte che oggi produce i suoi valori economico-finanziari, e se questi valori li rapportiamo a come tanti altri valori economici in auge nel passato sono poi miseramente decaduti, possiamo guardare almeno con sospetto la esposizione dell’altra Opera di Cattelan all’Art Basel di Miami Beach almeno per un prezzo fissato dal mercato in modo esagerato.
Le varie esposizioni di questa opera e del suo messaggio artistico hanno dato lustro per ora al solito valore economico che di solito si attribuisce a un artista popolare, che rientra, cioè, nei favori pubblicitari del mercato dell’arte. Ma quale tipologia di verifica si è condotta oggi su ciò che vada considerato arte della opera concettuale di Cattelan?
A parte i diagrammi dettagliati e le istruzioni che l’acquirente riceve per una corretta esposizione dell’opera concettuale “Comedian” di Cattelan, non c’è nulla che faccia sospettare la grandezza delle sue opere, o operazioni concettuali.
Ciò che fa riflettere è che questo artista sembra che con la sua opera abbia inscenato un’azione in cui il “Commediante” è diventata la stessa opera d’arte. Egli afferma, per sua scelta, che l’operazione concettuale non è finalizzata alla produzione di un valore con il suo atto (questo valore lo attribuisce il mercato).
Anzi addirittura egli muove una feroce critica al sistema economico attuale dell’arte. Questo sistema trasforma ogni sua “azione concettuale di artista” in valore economico. Possiamo essere testimoni, perciò, che le sue operazioni artistiche concettuali comunque producono valori economici. Possiamo paragonare Cattelan a un re Mida delle opere concettuali artistiche.
Non importa neanche se la sua opera “Comedian” sia venduta, secondo molti, a un consenziente e sprovveduto acquirente, grazie all’intermediazione di gallerie rinomate o di case d’asta, o di fiere d’arte e di giornali che con la pubblicità ne alimentano il mercato.
Va allora chiederci come interpretare questa operazione economica, o di “valore” aggiunto, suo malgrado, dell’artista Cattelan?
“Quando parliamo del valore di 120.000 $ di una banana attaccata con lo scotch, stiamo parlando di arte?”
Analizziamo i fatti dell’operazione “Comedian”. Cattelan sembra anche lui chiedersi perché sebbene questa sua azione concettuale è prodotta da un “artista” e possa apparire come una critica al sistema di “valore” economico dell’arte attuale, per quale motivo il sistema attribuisce alla sua opera il valore di 120.000$ al di là del significato che egli stesso gli attribuisce?
Teniamo presente che l’opera di Cattelan può essere inserita non solo nella corrente concettuale ma anche nell’arte povera (penso alla scultura che mangia del 1968 di Giovanni Anselmo).
Potremmo forse interpretare oggi che il prodotto artistico di Cattelan sia “un commediante-banana” fissato con lo scotch a una parete? La presenza immobilizzata e cristallizzata dell’opera che si matura e poi decompone va collegata all’artista vivente. Sembra che sia stata la presenza dell’artista che ha generato quel “valore economico-farsesco”, da commediante inanimato che, e che ora è insito nel messaggio dell’opera. Questo messaggio ora appare più come un valore economico e finanziario che non deperisce, almeno fino a quando lo sostiene un documento di parto-genesi che ne stabilisce l’origine in quel valore attribuito dall’artista. L’altro valore è costituito da una materia che va consumata o cambiata ma che si può far rivivere nella figura del “commediante” almeno se si ha l’autentica della “corretta esposizione” dell’opera concettuale “Comedian” di Cattelan.
Ma sappiamo che entrambi questi valori si sovrappongono anche in una qualsiasi “azione artistica.” Alla fine dobbiamo convenire che il mero valore quasi per ora invariabile dell’opera concettuale è determinato solo dal prezzo con cui il “commediante” dalla corretta esposizione viene venduto.
A me sembra che non conti né l’opera né la sua riproducibilità… forse è la firma insita nella ricostruzione della “corretta esposizione” che dà valore all’opera. In quell’azione in cui si esegue la ricostruzione del “Commediante”, o dell’operazione artistica di Cattelan. Passa tutto in second’ordine, come lo stesso compratore che può ricostruire l’operazione dell’artista riproducendo “l’attore con lo scotch” su una parete di cartongesso, come un Comedian per l’appunto. Io penso però che ciò che conta in questa recita “concettuale” siano i 120.000$, che è il “Valore Aggiunto” incassato dall’artista o dai galleristi per la vendita di un “commediante” e delle indicazioni per una corretta esposizione.
Come ci ha insegnato John T. Jost, i sistemi sociali creano narrazioni per auto-legittimarsi. Nel mondo dell’arte, questo si traduce in mostre-fiera dove le opere sono giustificate da teorie ad hoc (“è concettuale!”) e il valore si misura in likes e quotazioni, non in innovazione che tenga conto del processo evolutivo delle attuali relazioni tra materia e forme e che coinvolgono anche l’attuale “sentire” estetico.
Di fronte a questo scenario, il compito del critico-teorico oggi deve essere duplice: smascherare le logiche del sistema di valore economico aggiunto e al tempo stesso indicare strade alternative nella evoluzione di un racconto sul sentire, specie se sono coinvolti nuovi materiali (in particolare se questi materiali sono “intelligenti”) insieme alle nuove produzioni di forme costituite da messaggi che si trasmettono con la luce.
Come scrivevo già vent’anni fa: senza considerare una evoluzione epistemologica che parta dalle basi stesse del sentire estetico, e dalle relazioni di “senso” che questo percepire produce nell’incontro con l’ambiente, ogni tentativo di rinnovamento è destinato al fallimento.
The crisis of the art system in the age of financial capitalism and algorithms
By Giuseppe Siano – Art theorist
An analysis of the contemporary art system reveals an irreconcilable contradiction: on the one hand, the rhetoric of innovation; on the other, the persistence of commercial models dating back to the 19th century. But there is more, as demonstrated by some emblematic cases such as the works of Cattelan. We are faced with a paradox: how to deal today with art that has and has had revolutionary potential, and how these oppositions have now been subjugated to the logic of profit.
Anatomy of a betrayal: the Cattelan case
Take, for example, the L.O.V.E. monument in Piazza Affari:
- The original intention (Freedom, Hatred, Revenge, Eternity)
- The contextual reconfiguration (the interaction that the work has with the financial space in front of which it has been placed now seems to direct the gesture and the message towards the meaning “take this finger up your arse”, which applies to all the other buildings overlooking the square)
- The semantic shift (of the “artistic gesture” of L.O.V.E. — Liberty, Hatred, Revenge and Eternity — produced by the work in interaction with the environment now seems to have been transformed into a message of derision or insult by the “new” dominant economic-financial class directed at the entire productive sector of this country. In fact, to some, the act of the finger seems to signify “benevolent mockery”, while to others it appears to be a sexual insult directed at the rest of our country’s productive system. The meaning can be understood by relating the Stock Exchange building to the other buildings in the same square in Milan, towards which Cattelan’s L.O.V.E. message-gesture is directed.
As I wrote in my essay on McLuhan, this phenomenon was perfectly predictable: every medium (in this case, urban space) reconfigures and adapts the message to the logical relationships of the other significant elements present in the environment.
The theory of justification applied to art
The contemporary art system functions as a perfect example of what John T. Jost calls a “system of justification”: international fairs as devices of legitimisation; the creation of value through ritual repetition and the reduction of criticism to mere supporting narration.
‘The myth of originality in “financial” capitalism also engulfs cultural messages’.
This analysis aims to demonstrate how the historical avant-garde of art is used as a message to produce economic value, using all institutional channels for this purpose and manipulating knowledge to produce money, even with art.
Novelty is often a remix of tried and tested formulas that aim to manipulate research in order to produce, attribute and quantify a sum of money under the banner of “artistic value”. It does not matter how messages are used, nor how the functions of messages are manipulated, even if analysed as an entanglement of vector information consisting of matter-energy. The end must be translated into the only value that matters: money.
Among other things, there is currently a lack of skilful analysis to unmask these operations, which reveal the value relationships used in the construction of messages. Nor are the repercussions or redefinitions of a conceptual meaning produced in an environment by the contextual action of all the elements involved in an artistic operation analysed. Nor is the relationship between the work and the context in which this human production is placed, or “ready-made object”, explored in depth; and in this case, what other possible new added meaning it could produce.
When a banana is attached with tape by an artist recognised by the art market, who has set the value of his work at $120,000, an art theorist no longer reflects on the wit of the idea or on the action or conceptual operation, but mainly on the economic value added by the art system to a human production.
It does not matter that the artist calls his conceptual work Comedian (Comic, Cabaret Artist, Humorist, etc.), because the question focuses primarily on the economic value of that conceptual action or artistic production.
Yet contemporary art critics and theorists should at least first investigate the reasons behind the inherent purposes of the messages conveyed by conceptual art. In addition to the fact that we must also consider how the relationship between the environment and the work generates other relationships that can modify the predominant information or message. At present, however, the only real value generated by the art market and which differentiates one human production from another is of an economic and financial nature; that is, everything boils down to “how much it costs”.
If we think about the economic system of art that today produces its economic and financial values, and if we relate these values to how many other economic values that were in vogue in the past have then fallen miserably, we can at least view the exhibition of Cattelan’s other work at Art Basel in Miami Beach with suspicion, at least for a price set by the market in an exaggerated manner.
The various exhibitions of this work and its artistic message have, for now, given prestige to the usual economic value that is usually attributed to a popular artist, who is, in other words, in the good graces of the art market. But what kind of verification has been carried out today on what should be considered art in Cattelan’s conceptual work?
Apart from the detailed diagrams and instructions that the buyer receives for the correct display of Cattelan’s conceptual work “Comedian”, there is nothing to suggest the greatness of his works or conceptual operations.
What is thought-provoking is that this artist seems to have staged an action in which the “Comedian” has become the work of art itself. He states, by his own choice, that the conceptual operation is not aimed at producing value through his act (this value is attributed by the market).
On the contrary, he even makes a fierce criticism of the current economic system of art. This system transforms all his “conceptual actions as an artist” into economic value. We can therefore witness that his conceptual artistic operations do produce economic value. We can compare Cattelan to a King Midas of conceptual artistic works.
It does not even matter if his work “Comedian” is sold, according to many, to a willing and unsuspecting buyer, thanks to the intermediation of renowned galleries or auction houses, or art fairs and newspapers that fuel the market with advertising.
We must then ask ourselves how to interpret this economic operation, or added “value”, despite himself, of the artist Cattelan?
‘When we talk about the $120,000 value of a banana stuck with tape, are we talking about art? “
Let’s analyse the facts of the “Comedian” operation. Cattelan himself seems to wonder why, although his conceptual action is produced by an “artist” and may appear to be a critique of the economic “value” system of contemporary art, the system attributes a value of $120,000 to his work beyond the meaning he himself attributes to it.
Let us bear in mind that Cattelan’s work can be placed not only in the conceptual current but also in Arte Povera (I am thinking of Giovanni Anselmo’s 1968 sculpture that eats).
Could we perhaps interpret Cattelan’s artistic product today as a “banana comedian” stuck to a wall with tape? The immobilised and crystallised presence of the work, which matures and then decomposes, is linked to the living artist. It seems that it was the presence of the artist that generated that “economic-farcical value”, as an inanimate comedian, which is now inherent in the message of the work. This message now appears more as an economic and financial value that does not decay, at least as long as it is supported by a document of birth-genesis that establishes its origin in that value attributed by the artist. The other value consists of a material that must be consumed or changed but that can be revived in the figure of the “comedian”, at least if one has the authenticity of the “correct exhibition” of Cattelan’s conceptual work “Comedian”.
But we know that both these values also overlap in any “artistic action”. In the end, we must agree that the mere, almost invariable value of the conceptual work is determined solely by the price at which the “commediante” from the correct exhibition is sold.
It seems to me that neither the work nor its reproducibility matters… perhaps it is the signature inherent in the reconstruction of the “correct exhibition” that gives value to the work. In that action in which the reconstruction of “Commediante” is performed, or Cattelan’s artistic operation. Everything else becomes secondary, like the buyer himself, who can reconstruct the artist’s operation by reproducing “the actor with tape” on a plasterboard wall, like a comedian, in fact. However, I think that what matters in this “conceptual” performance is the $120,000, which is the “added value” collected by the artist or gallery owners for the sale of a “comedian” and instructions for proper display.
As John T. Jost taught us, social systems create narratives to legitimise themselves. In the art world, this translates into exhibition-fairs where works are justified by ad hoc theories (“it’s conceptual!”) and value is measured in likes and quotations, not in innovation that takes into account the evolutionary process of current relationships between matter and form and that also involves current aesthetic “feelings”.
Faced with this scenario, the task of the critic-theorist today must be twofold: to unmask the logic of the economic added value system and, at the same time, to point out alternative paths in the evolution of a narrative on feeling, especially if new materials are involved (particularly if these materials are “intelligent”) together with new productions of forms consisting of messages transmitted by light.
As I wrote twenty years ago: without considering an epistemological evolution that starts from the very foundations of aesthetic perception, and from the relationships of “meaning” that this perception produces in its encounter with the environment, any attempt at renewal is doomed to failure.
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